lunedì 10 agosto 2015

Viaggio nell'Opera: Musica e Parole-Parte 3



In precedenza, abbiamo parlato della questione legata alla necessità di tradurre o meno le opere nella lingua del pubblico. Per capire quanto spesso, nella storia dell’opera, l’importanza dei versi originali sia stata considerata inferiore a quella di altri fattori, come composizioni musicali o virtuosismi vocali, risulta necessario analizzare un’altra usanza molto comune nei secoli scorsi. 


Analizzando in particolare la produzione di opere del 1800, è possibile notare l’esistenza di arie sostitutive. Per capire cosa si intenda con questa espressione, chiariamo brevemente, come prima cosa, il concetto di aria


In campo musicale, l’aria è un brano diviso in strofe, spesso composto per un singolo cantante. Portando questa definizione all’interno della storia dell’opera, possiamo aggiungere un ulteriore particolare: nel melodramma, l’aria si contrappone al recitativo. È un momento dell’opera in cui dialoghi e azioni passando in secondo piano, facendo risaltare, in particolare, i sentimenti e le emozioni del personaggio, permettendo allo spettatore di godere di un momento sospeso nel tempo in cui entrare direttamente nell’intimo del protagonista. 


Nel XIX secolo era usanza comune sostituire le arie o i versi originali con alcune riscritte, chiamate appunto arie sostitutive. Queste venivano adattate a musiche preesistenti, acquisendo, a volte, molta più fama rispetto alle originali, almeno inizialmente.


È questo il caso, ad esempio, dell’opera tedesca di Mozart, Die Zauberflöte (Il Flauto Magico). Completata nel 1791, l’opera attraversò un iniziale periodo di impopolarità e venne giudicata ridicola e priva di ogni senso. Questo per quanto riguarda i versi. La musica, al contrario, aveva superato la prova e Mozart era già entrato nella fase di santificazione. La soluzione perfetta fu, quindi, quella di riscrivere totalmente il libretto ponendolo sulla musica già esistente: nuova trama, nuovi versi, nuovi personaggi. Il risultato fu una nuova opera ambientata lungo il Reno, contenente alcuni riferimenti alla Saga dei Nibelunghi, ondine e personaggi che non corrispondono a quelli originali. Il titolo della nuova composizione fu DernKederich, dal nome di un dirupo sul Reno, e, all’epoca, acquisì molta più fama e molto più valore rispetto all’opera iniziale. 


Un altro esempio, più leggero e meno violento, riguarda un’opera di Rossini. Nel 1818, Il compositore italiano portò sul palcoscenico il suo Mosè in Egitto. Nove anni dopo, al momento del debutto a Parigi, Rossini portò in scena un’opera modificata: Moïse et Pharaon. Oltre a tradurla in francese, Rossini riciclò alcuni brani del Mosè in Egitto per la versione francese. Fu così che, ad esempio, mentre nell’opera originale Elcìa, rappresentata da un soprano, canta una cabaletta sulle pene del suo cuore ferito, nel Moïse lo stesso brano, con versi differenti, venne affidato a Sinaïde, moglie di Faraone, nel momento in cui il personaggio festeggiava una felice svolta nella storia. 


Nel Mosè in Egitto, quindi, Elcìa, recitava i seguenti versi:



Tormenti! Affanni! Smanie!
Voi fate a brani il core!
Tutto di Averno o furie
versate in me il furore...Straziate voi quest'anima,
che regge al duolo ancor!




Nel Moïse et Pharaon, l’aria assume tutt'altra forma:


Che cosa sento! O dolce ebbrezza,
è fedele all’onore; io devo alla sua tenerezza la calma del mio cuore;Dei, proteggete senza sostaLa sua gloria e la sua felicità!



Questi esempi dimostrano che almeno una parte della musica operistica sia potenzialmente mutabile e adattabile a diversi contenuti. Così, per esempio, una composizione che sembra perfetta per un testo sull’amore perduto, suscitando emozioni e sentimenti in tal senso, potrebbe funzionare anche con un testo diverso.



In un’epoca in cui si ha profonda riverenza per i classici, ritenendoli quasi sacri, sembra assurdo pensare che, poco più di due secoli fa, si potesse giocare in maniera tanto varia su testi e libretti che, infine, hanno costruito la storia dell’opera lirica. Nel passato era normale scrivere arie sostitutive quando un’opera veniva ripresa con un nuovo cast, rendendola quindi più adatta all’abilità dei nuovi cantanti. Oggi, invece, nessuno oserebbe fare lo stesso con le opere composte proprio in quel periodo. Il cambiamento culturale è stato così profondo che, forse, è giunto il momento di chiederci per quale motivo, oggi, sia così semplice rimanere scioccati davanti ad un atteggiamento ormai scomparso, lasciando il posto ad una sorta di pessimismo culturale, che ci porta a nascondere i cambiamenti apportati a molte composizioni nel corso del tempo, precludendo la possibilità di conoscere grandi composizioni per venerare le opere originali che, invece, spesso non venivano affatto prese in considerazione all’epoca della loro creazione.

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